TESTIMONIANZE SU DEMARISTA (2)

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SECONDA PARTE testimonianza di Franco Ceni.

A questo punto dovrò raccontare un fatto riguardante la mia famiglia, necessario per collegare esperienze dirette con Demarista riguardo a certe situazioni.

Il fatto è questo: abitavo al Galluzzo, una frazione alla periferia di Firenze, in affitto, in un bel villino anni ‘900 da cui si vedeva la famosa Certosa di Firenze: bellissimo posto. Una sera che io non c’ero, si presentò la proprietaria della casa e disse a mia madre: “Sai Nella, stanno costruendo case da tutte le parti: perché non cercate da un’altra parte? Io ristrutturerei e prenderei un buon affitto”. Era sottinteso che noi non potevamo permettercelo. Ed ecco la “ciliegina”: “Io non ci credo ma in questa casa, 30 anni fa facevano le sedute spiritiche e due fratelli di mio marito sono morti qui: uno si è sparato un colpo di fucile, l’altro si è impiccato” (il dio quattrino stava avanzando al galoppo: erano gli anni ’60).

Quando mia madre mi riferì questo, mi disse: “Mi si è gelato il sangue nelle vene perché, dopo che morì tuo padre, lo sognai mentre mi diceva: “Vai via subito da codesta casa, subito!”. Mio padre era morto dopo tre anni dal trasloco in quella casa e mia madre con due figli piccoli e col lavoro precario, non se la sentì si andare via da quella casa.

Perché il collegamento con Demarista riguardo a questi fatti? Lo racconto subito.

Misi al corrente Demarista della sottile richiesta di liberare l’appartamento, senza entrare nei particolari sopra descritti e lei mi disse che conosceva una persona che stava investendo in appartamenti e che, se mi fosse interessato uno di quelli, lei gli avrebbe parlato. Dissi di si. Tralasciando tutti i particolari, dopo una settimana mi ero trasferito a Campi Bisenzio. Quando potevo, specie la sera, ero sempre da Demarista: accanto a casa sua c’era, e c’è ancora, un cedro del Libano maestoso. La sera ci ritrovavamo tutti lì; dicevamo il rosario, leggevamo brani di testi sacri; lei ci raccontava avvenimenti dei suoi viaggi a San Giovanni Rotondo, le grazie che alcuni avevano riportato tramite Padre Pio, e così via.

Si era formato un consiglio per l’erigenda casa di riposo francescana, di cui anch’io facevo parte. Il presidente era un ragioniere e c’erano con lui vari consiglieri con rispettivi compiti; tra loro c’era anche un maresciallo della polizia stradale di Firenze, del quale ometto il nome.

Sapevo, sentendone parlare, che Demarista aveva carismi particolari; uno era quello di consigliare le persone su problemi sia familiari che economici. Ora salto di palo in frasca come gli uccellini, per collegare i due fatti, e in seguito tornerò alle mie esperienze con Demarista nell’ambito di consigliere.

Questo è il fatto: in quel periodo la sera ero sempre da Demarista e una sera in particolare era stato indetto un consiglio. Arrivai presto: Demarista era già seduta al tavolo in un locale al piano terra, un saloncino di circa 7 metri per 4 con un lungo tavolo; lei era seduta alla testa del tavolo: arrivai io e mi sedetti accanto a lei con la porta d’ingresso alle mie spalle.

Stavamo parlando quando improvvisamente si aprì la porta d’ingresso alle mie spalle; non mi voltai perché il viso di Demarista si alterò in modo indescrivibile; il volto più sereno all’improvviso divenne paonazzo, gli occhi si dilatarono, le corde del collo divennero grosse come canapi da marina e, con il  braccio sinistro teso verso una persona, cominciò ad urlare come se qualcuno la stesse strozzando:”Via, via va’ via!”. A questo punto mi girai verso la porta e vidi il maresciallo di polizia con il volto terreo, bianco come un cencio, le braccia avanti con due sacchetti bianchi, uno per mano. Lei continuava a urlare: “Via, va’ via!” Lui aprì la bocca e disse: “Quale?” – “Quello, quello”, indicando con il baccio il sacchetto di destra. Il maresciallo, più morto che vivo, si ritirò senza neppure voltarsi, e chiuse la porta. Mi voltai di nuovo verso Demarista che con le mani si stirava le corde del collo, e cominciò a dire: “Cosa non c’era il quel pacco, cosa nonc’era!” Povero G.

Per fortuna cominciarono ad arrivare gli altri consiglieri; lei tornò normale ma non disse nulla a nessuno e per me fu un vero trauma perchè non avevo mai assistito a niente del genere. Finita la riunione, mentre stavo uscendo, mi sento prendere sotto il braccio: era il maresciallo che mi disse: “Hai visto? Sai cosa c’era in quel sacchetto? Un dolce preparatomi stasera da mia cognata”. “E che ne hai fatto?”- “Sono andato sul ponte del Bisenzio e l’ho gettato nell’acqua. Non credevo che mia cognata mi odiasse tanto”. Soliti problemi del dio denaro: il motivo, che non descrivo, lo seppi dopo. Quattro anni più tardi lui era morto.

Demarista Parretti

(Continua)